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E ridendo l'uccise - Epoca: Rinascimento

Diego Minoia - musicista e scrittore
Pubblicato da Diego Minoia in Film musica e società · 27 Aprile 2010

Film italiani e di argomento storico relativo all' Italia non ve ne sono molti; tra questi alcuni sono datati mentre altri sono poco curati sotto il profilo della veridicità storica.
Tra i pochi che, a mio parere, possono offrire interessanti spunti didattici di apprendimento e di riflessione vi è E ridendo l'uccise, diretto nel 2005 da Florestano Vancini.



Vancini, scomparso nel 2008, è stato regista di lungo corso ed ha realizzato numerosi prodotti di tipo documentaristico d'impegno sociale,oltre a film per il grande schermo e fiction per la televisione (La Piovra 2 , Piazza di Spagna).
In questo E ridendo l'uccise il ferrarese Vancini si occupa di una vicenda legata alla città natale, precisamente delle lotte di potere avvenute tra Alfonso d'Este, salito al potere dopo la morte del padre Ercole e spalleggiato dal fratello Cardinale Ippolito, ed i rimanenti fratelli Ferrante e Giulio (nato illegittimo da una relazione del DUca Ercole con una dama di compagnia della moglie Eleonora d'Aragona).
La storia viene però narrata da un punto di vista particolare,quello di Taddeo Brugnola detto Moschino, Buffone di Corte.



Moschino è allo stesso tempo molto addentro alle cose di Corte e ad esse estraneo, benchè coinvolto in prima persona in intrighi orditi dai cortigiani.
Il suo sguardo ingenuo ma anche ironico gli permette di recitare la sua parte a Corte e di passare le notti nelle osterie a intrattenere il popolo con storielle e lazzi che fustigano i potenti e i prepotenti.



Tutto inizia con l'infatuazione del Cardinale Ippolito per la bella Angiola, amante del fratello Giulio che, con il suo comportamento spavaldo, mette in ridicolo Ippolito.
Nel corso di un casuale incontro lontano da testimoni, Ippolito fa ferire e sfregiare Giulio il quale, una volta ripresosi, medita vendetta contro il Cardinale e lo stesso Duca Alfonso.
La seconda moglie del Duca, che nel film appare sempre equilibrata e suggeritrice di saggi consigli, è la famosa Lucrezia Borgia (figlia illegittima del Papa Alessandro VI).
Fra tentativi di avvelenamento e agguati notturni falliti la congiura di Ferrante e Giulio viene alla fine scoperta, grazie al mellifluo cantore di Corte e Moschino viene torturato e licenziato.
Ben altra fine faranno i congiurati, alcuni giustiziati e letteralmente fatti a pezzi, mentre i fratelli di Alfonso verranno condannati alla prigionia eterna.
Interessanti, ai fini musicali e storici, le scene a palazzo dove vengono rappresentati momenti di vita della Corte: i bimbi che giocano con il Buffone mentre i cortigiani discorrono, giocano a carte e amoreggiano con il sottofondo musicale del cantore.
Anche la scena del ballo è interessante, preceduta dall'entrata dei musici con gli strumenti dell'epoca.
Le musiche, appena vagamente in stile rinascimentale, sono firmate da Ennio Morricone, qui non in una delle sue migliori realizzazioni.
Il fatto che spesso nei film storici non si usi musica nel vero stile dell'epoca mi lascia sempre abbastanza interdetto.
Posso capire che una colonna sonora più moderna ed accattivante possa essere utile in determinate scene del film per coinvolgere il pubblico e produrre le emozioni desiderate, ma in altri momenti nei quali si rappresenta la vita di corte, perchè non si mette della musica originale (o almeno ricreata "in stile")?
Si teme forse, inserendo musiche originali d'autore, di sminuire l'apporto dato dal compositore della colonna sonora?
O si teme che qualche breve accenno a musiche della tradizione colta possa far fuggire il pubblico dalle sale a gambe levate?
Mah, misteri del cinema...
Qualche curiosità, per finire.
Nel film appaiono, inseriti per la verità in modo un po' forzato e senza far parte in prima persona delle vicende narrate, due personaggi che frequentarono la Corte estense: il poeta Ludovico Ariosto (autore dell'Orlando furioso, cortigiano a Ferrara) e il pittore Tiziano Vecellio.
Il film si conclude con la morte del povero buffone Moschino durante una finta esecuzione organizzata dal Duca Alfonso per vendicarsi del suo servitore che lo aveva gettato in acqua con l'intento di guarirlo da una crisi di singhiozzo che lo attanagliava da giorni.
Mentre Moschino giace morto sul patibolo, morto di paura, tutti intorno a lui ridono pensando ad una sceneggiata del buffone.
Sui titoli di coda scorrono i versi di Antonio Cammelli, poeta di corte a Ferrara in quel periodo e autore del sonetto In morte di un buffone.
Nella poesia si narra di come il buffone intrattenne la Morte, per un po', ma alla fine ella, pur ridendo, portò a termine il suo compito e l'uccise.
... e ridendo l'uccise, appunto.

Copyright Diego Minoia 2010


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