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Trescore British Blues Festival

Diego Minoia - musicista e scrittore
Pubblicato da Diego Minoia in Concerti / Eventi / Dischi /Varie · 20 Giugno 2010

Giunto ormai alla 13^ edizione il Trescore British Blues Festival sta progressivamente cambiando pelle, dopo l'avvicendamento avvenuto lo scorso anno anche a livello di organizzatori e direttore artistico.
Dico subito che vedo luci ed ombre in questa nuova direzione del festival.
I precedenti organizzatori avevano a loro vantaggio una grande passione per il blues e la solida esperienza maturata nel far nascere e crescere un evento che, negli anni, ha progressivamente attirato l'interesse degli appassionati del genere.
Ogni anno si potevano vedere, nello spazio "speciale" della fattoria di Villa Soardi, facce conosciute insieme a pubblico nuovo.
E' vero che le difficoltà economiche hanno costretto negli ultimi anni a trasformare il festival da evento popolare libero e gratuito a proposta con ticket d'ingresso (una cifra poco più che simbolica che sosteneva economicamente l'iniziativa) ed è anche vero che le proposte musicali, legate ai contatti privilegiati stabilitisi con alcuni musicisti britannici, stavano dando segni di logoramento con proposte non sempre qualitativamente all'altezza.
La nuova gestione, come tutto ciò che deve (o vuole) staccare con un passato importante, sta evidentemente cercando la sua strada, il suo segno distintivo.
Il ritorno alla gratuità, per esempio, è uno di questi segni, che tenta di riportare il Festival ad un pubblico più vasto (anche se, magari, un po' più distratto o interessato più all'aspetto gastronomico degli stands che a quello musicale del palco).
La scelta del luogo, una piazza all'interno del paese circondata da condomini moderni, a mio parere risulta decisamente meno efficace.
Il luogo storico del Festival era molto più adatto, non solo perchè più intimo e originale negli spazi, ma anche perchè consentiva (come è successo varie volte) di poter disporre di spazi chiusi per esecuzioni al coperto in caso di maltempo.
Quanto alle proposte musicali delle due serate dell'edizione 2010 (contro le tre serate tradizionali) devo dire che ho apprezzato la qualità del concerto di Ronnie Jones & Northern Soul Band, un tuffo nel passato a ripescare autori e brani che hanno fatto la storia, da Etta James a Otis Redding.
La successiva serata di vernerdi 18 ha visto sul palco un bluesman di lungo corso, Dave Baker, in duo con un chitarrista di buon livello tecnico ed espressivo.
Buona musica e rassegna di tutti gli ingredienti classici del British blues in versione light, voce, chitarra e la classica washboard per aggiungere un po' di base ritmica.
La vera delusione è stato invece il gruppo che doveva essere il clou della serata, capitanato dal vocalist e chitarrista Sam Hare.
Presentatato enfaticamente come "il talento della scena blues britannica", il giovane musicista con l'altrettanto giovane band che lo accompagnava, ha sciorinato una serie di song, da lui composte, che con il blues ben poco avevano a che fare.
Un paio di blues li hanno anche suonati, per altro ben fatti se non fosse che li hanno "tirati in lungo" come capita di fare ai giovani musicisti che non sanno ancora calibrare i tempi (o che non hanno abbastanza repertorio per riempire la serata).
L'aspetto più carente è stato quello relativo alla comunicazione con il pubblico,sia a livello musicale che per gli interventi parlati: il giovanotto, atteggiamento un po' alla Kurt Cobain e taglio dei capelli alla moda, si è mostrato freddo e distaccato, ben lontano dalla forte carica emotica che viene trasmessa dai veri "talenti".   
Parafrasando il titolo di una celebre commedia teatrale "Niente sesso, siamo inglesi", verrebbe da dire che il motto di Sam Hare sia "Niente emozioni, siamo inglesi".

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